Un passato nello scoutismo, la laurea in Lingua e Letteratura Turca, poi il Master di comunicazione dell’Enrico Cogno e Associati e una tesi dedicata al non-profit: nasce così la storia professionale di Giulia Pigliucci, per 18 anni alla guida dell’Agenzia di comunicazione Associazione di’Dee, oggi free-lance, responsabile dell’ufficio stampa di Focsiv e socia di EUconsult Italia. “Comunicare il Terzo Settore e le ONG è il mio mestiere” scrive di sé su twitter. Le abbiamo fatto qualche domanda su comunicazione, nuovi scenari e ruolo dei professionisti che si dedicano al nonprofit.
Giulia, quali asset reputi fondamentali nelle organizzazioni per pianificare le strategie di comunicazione e raccolta fondi? Quanto è importante una corretta suddivisione dei ruoli?
La pianificazione strategica è frutto di un lavoro corale al quale concorrono figure diverse, ognuna con la propria competenza e capacità, per una finalità comune. Mentre la comunicazione indica gli obiettivi e il tipo di strategia per conseguirli, chi si occupa di raccolta fondi l’affianca, traducendoli secondo la propria metodologia. Queste due figure sono complementari e ritengo non dovrebbero essere in capo ad un’unica persona, come spesso accade, poiché sebbene perseguano un’identica finalità, questa è pensata e realizzata in modo diverso.
Le altre figure, chi si occupa dei media, chi dei social, fanno parte di questo stesso processo, contribuendo con le proprie peculiarità e competenze al posizionamento ed alla realizzazione di una visione complessiva dell’organizzazione.
Al di là delle tecniche che ciascuno di noi utilizza, ciò che più conta per tutti noi è la capacità di ascolto di quello che il sistema sociale avverte come necessità, magari senza esserne ancora consapevole. Inoltre per chi fa il nostro mestiere è importante non fermarsi mai dallo studiare e analizzare quanto accade, cogliendone i segnali prima che questi si concretizzino.
Quale empowerment e advocacy devono sapere sviluppare i professionisti del Terzo Settore?
Oggi il Terzo Settore è una realtà acclamata – dalla politica ed in linea di massima dal grande pubblico – come espressione del tessuto sociale. Il Parlamento in questi anni ha prodotto due importanti passaggi legislativi: la Riforma del Terzo Settore e la Legge sulla cooperazione allo sviluppo, che definiscono come questi ambiti si debbano muovere, garantendo trasparenza e autorevolezza a tutto il settore.
Credo che talvolta come professionisti non ne abbiamo abbastanza consapevolezza. Se è vero che il non-profit oggi è tutelato, coloro che se ne occupano non hanno ancora definito la propria figura e il valore delle proprie competenze, lasciando alle decisioni delle figure apicali delle Associazioni e delle Organizzazioni le scelte economiche ed il riconoscimento professionale. Dovremmo, quindi, adoperarci affinché le nostre rappresentanze chiedano ed ottengano, anche a livello legislativo, il riconoscimento delle nostre competenze e del nostro valore, anche con azioni di advocacy che coinvolgano ed uniscano le diverse associazioni con un medesimo obiettivo: la definizione del ruolo all’interno delle organizzazioni, la qualifica economica e professionale di chi lavora nel settore.
Quale futuro vedi per il non profit in Italia con la comunicazione e i suoi strumenti che sono in continuo cambiamento?
Il non profit e tutte le organizzazioni che ne fanno parte dovrebbero ricordarsi, in molti casi, che la propria missione non è solamente sostenere la buona causa di ciascuna associazione, ma è anche l’essere il propulsore della trasformazione sociale del nostro Paese e l’espressione della cittadinanza attiva. Comunicare non significa solo acquisire nuovi donatori e mantenere quelli acquisiti, ma è anche, e azzarderei soprattutto, diffondere la consapevolezza nella comunità e sviluppare fiducia per l’intero ambito del Terzo Settore.
In tal senso, si dovrebbe lavorare coralmente nel riportare la narrazione su cosa e come agiscano le diverse espressioni del Terzo Settore ed in particolare quale ruolo rivestano per la stessa società italiana e per la politica estera del nostro Paese.
Vuoi concludere condividendo un aneddoto professionale?
Decisamente non è semplice riuscire a raccontare un aneddoto che in qualche modo racchiuda in sé 30 anni di professione. Ho avuto l’opportunità e il privilegio, nell’ambito della cooperazione internazionale, di recarmi in tante aree del mondo, di conoscere da vicino le vite di persone lontane da noi, di fare da megafono al loro dolore denunciandone la condizione; ho accompagnato tanti giornalisti e personaggi affinché raccontassero come il mondo globalizzato non sia poi così equo e giusto per tutti. Ricordo i tanti volti delle donne, degli uomini e dei bambini del post tsunami che cercavano di ritrovare un futuro possibile; di quelli che salivano sull’aereo che li portava, grazie ai corridoi umanitari, da Addis Abeba a Roma; di quelli dell’Amazzonia dell’Ecuador che denunciano, ancora oggi, la devastazione della foresta da parte della Chevron Texaco; dei bambini soldato e di quelli di strada di Goma nella Repubblica Democratica del Congo; dei campi dei rifugiati e degli sfollati del Sud Sudan e di Gambella in Etiopia; di quelli della Casa delle donne di Qaraqosh in Iraq e di tanti altri.
Poi ci sono le soddisfazioni, come la consegna da parte del libro profugo della Chiesa della città santa della Piana di Ninive, dopo il restauro effettuato in Italia, da parte di Papa Francesco durante il suo viaggio nella terra irachena, oppure l’aver pensato alla Tavolata senza muri, che ha messo a tavola più di mille persone in Via della Conciliazione ed altre 25 città, per ribadire che nel nostro Paese nessuno è escluso.
E chissà cosa ancora mi riserva il futuro…
(Intervista a cura di Francesco Fortinguerra e Daniela Fiori; foto di Giulio D’Ercole)